giovedì 11 novembre 2010
L'omino dell'acqua
Il titolo è una citazione dal film "Mi fido di te", che ho visto da poco, e ha a che fare con l'importanza delle parole.
Io credo nell'importanza delle parole. Però credo anche che la scelta di quelle giuste sia una responsabilità di chi parla.
Capita sempre più spesso, invece, che la scelta delle parole venga identificata come un punto debole dell'avversario in una discussione ("avversario" già è una scelta deliberata da parte mia...) e che si usino artifici dialettici per attaccarla.
Si ha così la nascita dell'interlocutore "che si attacca alle parole", specie che odio e che purtroppo non sembra dare segni di estinzione.
Prendiamo un esempio: la frase "E' sempre la stessa storia, non ti va mai bene niente!".
Risposte standard di "quello che si attacca alle parole":
1) Che vuol dire "sempre"???
2) Non è la "stessa" storia, stavolta è diverso.
3) Non mi va "mai" bene niente???
4) Niente?
La frase, è ovvio, è sintomo di una difficoltà ad accettare un problema di estrema intransigenza e rigidità nell'interazione con gli altri, ed è certamente una critica generica ad un comportamento ricorrente. Come tale, indubbiamente, è confrontazionale, il che non è mai un buon modo di condurre una interazione sociale.
Ma il punto fondamentale è che come tutte le critiche generiche, prenderla alla lettera è un errore. Errore spesso deliberato, che quindi diventa un segnale di indisponibilità all'ascolto, e un modo estremamente diretto di mettere in chiaro che quello che interessa è vincere la discussione (ecco perchè prima ho usato avversario), e non affrontare serenamente l'argomento trattato.
Quando in una discussione l'interlocutore fa le pulci a tutti i termini che pronunci, ti mette in estrema difficoltà. Tanto per cominciare, ti ruba parte del vocabolario costringendoti a scegliere sempre con estrema cura il termine più appropriato, spesso portandoti a scegliere in base alla reazione e non in base al concetto che vuoi veicolare (se cerchi di evitare il conflitto, privilegi termini generici a scapito della chiarezza, e la tua argomentazione perde efficacia - se cerchi di far passare il concetto, privilegi termini inequivocabili, e in questo modo alimenti il conflitto perchè necessariamente sei più diretto). Inoltre, condiziona la conversazione portandola su un piano totalmente differente.
E' come se ti sfidasse dicendo "basta parlare di concetti: vediamo se riesci a portare a termine la tua argomentazione senza farti impallinare dai miei presidi dialettici nel tentativo. In fondo non mi importa cosa stai dicendo, l'importante è dimostrarti che non sarai mai capace di arrivare in fondo al tuo ragionamento senza la minima sbavatura. Le nostre menti non stanno più dialogando, è la mia che sta mettendo alla prova la tua".
Per quanto mi riguarda, in questa condizione quello che preferisco è chiudere la bocca e non prestarmi al gioco. Ma la conseguenza immediata è che catalogo la persona che ho di fronte come qualcuno con cui vale molto poco la pena di scambiare opinioni.
Ogni contenuto ha un intento.
Comunicare è il processo di condivisione dei contenuti retto dalla condivisione degli intenti.
Senza condivisione degli intenti, non esiste condivisione dei contenuti.
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