mercoledì 27 maggio 2015

Perchè non credo nell'uomo.

Gli esperimenti di Milgram sull'obbedienza all'autorità sono test di psicologia sociale condotti dallo psicologo Stanley Milgram all'Università di Yale.

Questi test misuravano la disponibilità dei partecipanti allo studio ad obbedire ad una figura di autorità che dava loro istruzione di commettere atti in conflitto con la loro coscienza personale.

Milgram descrisse la propria ricerca per la prima volta in un articolo pubblicato nel 1963 e ne presentò i risultati in maniera approfondita in un libro del 1974, "Obbedienza all'autorità: uno sguardo sperimentale". Gli esperimenti iniziarono nel luglio del 1961, tre mesi dopo l'inizio del processo del criminale nazista Adolf Eichmann a Gerusalemme. Milgram immaginò i propri esperimenti quale possibile risposta alla domanda, molto diffusa in quel periodo: "E' pensabile che Eichmann e i suoi milioni di complici nell'Olocausto stessero solo seguendo gli ordini? Possiamo chiamarli complici?"

Gli esperimenti di Milgram sono stati ripetuti molte volte negli anni con alcune variazioni, ed hanno restituito risultati congruenti nel tempo anche all'interno di società di tipo diverso, anche se non con le stesse percentuali, in tutto il mondo.

 

L'esperimento:

Negli esperimenti erano coinvolti tre individui: uno che conduceva l'esperimento, un soggetto/cavia dell'esperimento (un volontario) e un attore/alleato dello sperimentatore che fingeva di essere un secondo volontario. I tre individui avevano tre ruoli distinti: lo Sperimentatore (un ruolo di autorità), l'Insegnante (un ruolo chiamato ad obbedire agli ordini dello Sperimentatore) e l'Allievo (il ricevente gli stimoli dell'Insegnante). Il soggetto dell'esperimento e l'attore/alleato erano chiamati ad pescare a caso tra due foglietti per determinare il proprio ruolo (Insegnante o Allievo), ma all'insaputa della cavia entrambi i foglietti recavano la scritta "Insegnante". L'attore era istruito a sostenere di essere sempre l'Allievo, garantendo in questo modo che la cavia dell'esperimento avesse sempre il ruolo dell'Insegnante.
A questo punto, Insegnante ed Allievo venivano separati in due stanze diverse dove potevano comunicare ma non vedersi l'un l'altro. In una versione dell'esperimento l'attore era stato inoltre istruito, prima della separazione, a menzionare i propri problemi cardiaci in presenza della cavia.

Prima del test vero e proprio, all'Insegnante veniva somministrato uno shock elettrico (45 volt) per fargli sperimentare in prima persona quello che l'Allievo avrebbe subito durante l'esperimento. Successivamente, all'Insegnante veniva consegnata una lista di coppie di parole che dovevano essere insegnate all'Allievo. L'Insegnante cominciava quindi leggendo per intero la lista all'Allievo, per poi ripetere la prima parola di ogni coppia offrendo all'allievo quattro possibili risposte tra cui scegliere la seconda parola corretta. L'Allievo poteva premere un bottone per indicare la propria scelta, e se la risposta era sbaglaita l'Insegnante aveva la consegna di somministrargli uno shock elettrico, cominciando a 15 volt e incrementando il voltaggio di 15 volt per ogni errore. In caso di risposta esatta, l'Insegnante procedeva alla lettura della coppia successiva.

La cavia credeva che, per ogni risposta sbagliata, l'Allievo ricevesse veri shock, ma in realtà non era così. Dopo essere stato separato dalla cavia, l'attore attivava un registratore collegato al generatore dello shock e predisposto per emettere suoni diversi e urla all'aumentare del voltaggio. Dopo un certo numero di aumenti di voltaggio, l'attore cominciava a battere i pugni sul muro che lo separava dall'Insegnante. Dopo ulteriori shock e urti sul muro, uniti anche a ripetuti lamenti e riferimenti alla propria condizione cardiaca, era previsto che l'attore interrompesse all'improvviso qualsiasi forma di risposta.

Se in un qualsiasi momento il soggetto avesse espresso la volontà di fermare l'esperimento, avrebbe ricevuto una sequenza di risposte predeterminate da parte dello sperimentatore, in questo ordine:

- Per favore continui.
- L'esperimento richiede che lei continui.
- E' assolutamente necessario che lei continui.
- Non ha altra scelta, deve continuare.

Se il soggetto avesse continuatoa a chiedere l'arresto dell'esperimento dopo le quattro risposte, l'esperimento sarebbe stato sospeso. Altrimenti, avrebbe avuto termine quando l'Insegnante avesse somministrato il massimo voltaggio (450 volt) all'Allievo per tre volte consecutive.

L'esperimento prevedeva anche reazioni particolari in risposta a commenti specifici da parte dell'Insegnante. Qualora l'Insegnante avesse chiesto se l'Allievo potesse subire danni fisici permanenti, la risposta sarebbe stata "Anche se lo shock è doloroso, non ci saranno danni permanenti ai tessuti, quindi per favore continui". Se l'Insegnante avesse fatto presente che l'Allievo stava manifestando la volontà di smettere, lo Sperimentatore avrebbe risposto "Che all'Allievo piaccia o no, lei deve continuare finchè lui non ha imparato tutte le coppie di parole in modo corretto, quindi per favore continui".

 

I risultati:


Prima di condurre l'esperimento, Milgram predispose un sondaggio tra quattordici dottorandi in Psicologia alla Yale per predire il comportamento di 100 ipotetici Insegnanti. Tutte le risposte indicavano che soltanto una frazione molto piccola di Insegnanti (da 0 a 3 su 100, con una media di 1.2) sarebbero stati disposti ad infliggere il massimo voltaggio. Milgram condusse un secondo sondaggio tra i propri colleghi Professori e risultò che anch'essi credevano che pochissimi soggetti avrebbero proseguito oltre un livello di shock significativo. Milgram infine chiese una previsione a quaranta Psichiatri di una Scuola di Medicina, e la il consenso generale fu che arrivati al decimo shock (135 volt), quando la vittima avesse cominciato a chiedere di essere liberata, la maggior parte dei soggetti avrebbe fermato l'esperimento. Essi predissero inoltre che al sopraggiungere dei 300 volt, quando l'Allievo avrebbe smesso di rispondere completamente, soltanto il 3.73% dei soggetti avrebbe continuato; infine, essi credevano che "soltanto una percentuale trascurabile di soggetti, vicina allo 0.1%, avrebbe somministrato il massimo shock possibile di 450 volt".

Nel primo set di esperimenti di Milgram, il 65% dei partecipanti (26 su 40) somministrò il voltaggio finale di 450 volt, nonostante si sentisse fortemente a disagio nel farlo. Tutti, in diversi momenti, si fermarono e chiesero spiegazioni o misero in dubbio l'utilità dell'esperimento; alcuni si dissero pronti a restituire il denaro che era stato loro pagato per partecipare all'esperimento. Durante l'esperimento, i soggetti mostrarono diversi gradi di tensione e stress: sudorazione, tremori, balbettio, morsi al labbro, mormorii, unghie nella pelle, e alcuni ebbero eccessi di risa o crisi nervose.

Al sopraggiungere dei 135 volt (con conseguenti lamenti e battiti sul muro da parte dell'attore) numerose cavie indicarono il proprio desiderio di interrompere l'esperimento e verificare la salute dell'Allievo; alcuni soggetti inoltre si fermarono e iniziarono a fare domande o esprimere dubbi sullo scopo dell'esperimento. La gran parte di essi, tuttavia, continuò dopo essere stata rassicurata dallo sperimentatore che non sarebbe stata considerata responsabile dell'accaduto. Alcuni soggetti cominciarono a ridere nervosamente o a esibire altri segni di estremo stress dopo aver udito le grida di dolore dell'Allievo. Interessante comunque notare che anche i partecipanti che rifiutarono di somministrare gli ultimi voltaggi non chiesero mai esplicitamente che l'esperimento in sè cessasse, nè lasciarono la stanza per verificare lo stato di salute della vittima senza prima chiedere allo sperimentatore il permesso di andarsene.

Milgram riassunse l'esperimento nel suo saggio del 1974, "I pericoli dell'obbedienza":
"Gli aspetti legali e filosofici dell'obbedienza sono di enorme importanza, ma dicono molto poco a proposito di come la maggior parte delle persone si comporta in una situazione reale. Ho elaborato un semplice esperimento all'Università di Yale per verificare quanto dolore potesse infliggere un normale cittadino ad un'altra persona semplicemente perchè gli era stato ordinato di farlo da uno scienziato. La cruda, nuda forza dell'autorità è stata messa in diretta contrapposizione con uno tra i più profondi imperativi morali - il non infliggere dolore agli altri - e, pur con nelle orecchie le urla delle vittime, l'obbedienza all'autorità è comunque risultata la pulsione vincente nella maggioranza dei casi. L'estrema volontà delle persone adulte di spingersi oltre qualsiasi limite se sotto il comando di una autorità costituisce al tempo stesso la principale scoperta scientifica del mio studio e il fatto che maggiormente merita un approfondimento.

Persone normali, semplicemente svolgendo il proprio compito e senza alcuna particolare ostilità personale, possono diventare agenti di terribili processi distruttivi. Ma non è tutto: persino quando gli effetti distruttivi diventano assolutamente chiari, ed alle persone viene chiesto di compiere azioni incompatibili con i principi fondamentali della morale, soltanto un numero esiguo di esse possiede le risorse di volontà necessarie per resistere all'autorità".

Successivi esperimenti furono svolti in diverse parti del mondo, mutando le condizioni (ad esempio diminuendo il livello di autorità percepita dalla cavia predisponendo l'esperimento in un anonimo ufficio cittadino invece che a Yale, una rinomata Università, o aumentando il grado di prossimità fisica o emozionale tra Insegnante e Allievo). Il livello di obbedienza, anche se in parte ridotto, non ha mai registrato diminuzioni significative e si è attestato quasi sempre sul 61-66% (per la somministrazione del voltaggio finale di 450 volt) indipendentemente dalle condizioni.

 

Le spiegazioni:

Milgram elaborò due teorie:
  • La prima è la teoria del conformismo, basata sugli esperimenti di Solomon Asch, che descrive la relazione fondamentale tra il gruppo e la persona. Un soggetto che non ha nè l'abilità nè l'esperienza per prendere decisioni, specialmente durante una crisi lascerà l'onere della decisione al gruppo e alla sua gerarchia interna. Il gruppo diventa il modello comportamentale di riferimento per il singolo.

  • La seconda teoria è quella dell'agenticità umana, dove, per Milgram "l'essenza dell'obbedienza consiste nel fatto che una persona arrivi a vedere se stessa come strumento per realizzare i desideri di un'altra e che, come tale, non si veda più come responsabile delle proprie azioni. Una volta che questo critico cambio di punto di vista si attiva, tutte le caratteristiche essenziali del comportamento obbediente ne derivano quali conseguenze.".

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