mercoledì 27 maggio 2015

Perchè non credo nell'uomo.

Gli esperimenti di Milgram sull'obbedienza all'autorità sono test di psicologia sociale condotti dallo psicologo Stanley Milgram all'Università di Yale.

Questi test misuravano la disponibilità dei partecipanti allo studio ad obbedire ad una figura di autorità che dava loro istruzione di commettere atti in conflitto con la loro coscienza personale.

Milgram descrisse la propria ricerca per la prima volta in un articolo pubblicato nel 1963 e ne presentò i risultati in maniera approfondita in un libro del 1974, "Obbedienza all'autorità: uno sguardo sperimentale". Gli esperimenti iniziarono nel luglio del 1961, tre mesi dopo l'inizio del processo del criminale nazista Adolf Eichmann a Gerusalemme. Milgram immaginò i propri esperimenti quale possibile risposta alla domanda, molto diffusa in quel periodo: "E' pensabile che Eichmann e i suoi milioni di complici nell'Olocausto stessero solo seguendo gli ordini? Possiamo chiamarli complici?"

Gli esperimenti di Milgram sono stati ripetuti molte volte negli anni con alcune variazioni, ed hanno restituito risultati congruenti nel tempo anche all'interno di società di tipo diverso, anche se non con le stesse percentuali, in tutto il mondo.

 

L'esperimento:

Negli esperimenti erano coinvolti tre individui: uno che conduceva l'esperimento, un soggetto/cavia dell'esperimento (un volontario) e un attore/alleato dello sperimentatore che fingeva di essere un secondo volontario. I tre individui avevano tre ruoli distinti: lo Sperimentatore (un ruolo di autorità), l'Insegnante (un ruolo chiamato ad obbedire agli ordini dello Sperimentatore) e l'Allievo (il ricevente gli stimoli dell'Insegnante). Il soggetto dell'esperimento e l'attore/alleato erano chiamati ad pescare a caso tra due foglietti per determinare il proprio ruolo (Insegnante o Allievo), ma all'insaputa della cavia entrambi i foglietti recavano la scritta "Insegnante". L'attore era istruito a sostenere di essere sempre l'Allievo, garantendo in questo modo che la cavia dell'esperimento avesse sempre il ruolo dell'Insegnante.
A questo punto, Insegnante ed Allievo venivano separati in due stanze diverse dove potevano comunicare ma non vedersi l'un l'altro. In una versione dell'esperimento l'attore era stato inoltre istruito, prima della separazione, a menzionare i propri problemi cardiaci in presenza della cavia.

Prima del test vero e proprio, all'Insegnante veniva somministrato uno shock elettrico (45 volt) per fargli sperimentare in prima persona quello che l'Allievo avrebbe subito durante l'esperimento. Successivamente, all'Insegnante veniva consegnata una lista di coppie di parole che dovevano essere insegnate all'Allievo. L'Insegnante cominciava quindi leggendo per intero la lista all'Allievo, per poi ripetere la prima parola di ogni coppia offrendo all'allievo quattro possibili risposte tra cui scegliere la seconda parola corretta. L'Allievo poteva premere un bottone per indicare la propria scelta, e se la risposta era sbaglaita l'Insegnante aveva la consegna di somministrargli uno shock elettrico, cominciando a 15 volt e incrementando il voltaggio di 15 volt per ogni errore. In caso di risposta esatta, l'Insegnante procedeva alla lettura della coppia successiva.

La cavia credeva che, per ogni risposta sbagliata, l'Allievo ricevesse veri shock, ma in realtà non era così. Dopo essere stato separato dalla cavia, l'attore attivava un registratore collegato al generatore dello shock e predisposto per emettere suoni diversi e urla all'aumentare del voltaggio. Dopo un certo numero di aumenti di voltaggio, l'attore cominciava a battere i pugni sul muro che lo separava dall'Insegnante. Dopo ulteriori shock e urti sul muro, uniti anche a ripetuti lamenti e riferimenti alla propria condizione cardiaca, era previsto che l'attore interrompesse all'improvviso qualsiasi forma di risposta.

Se in un qualsiasi momento il soggetto avesse espresso la volontà di fermare l'esperimento, avrebbe ricevuto una sequenza di risposte predeterminate da parte dello sperimentatore, in questo ordine:

- Per favore continui.
- L'esperimento richiede che lei continui.
- E' assolutamente necessario che lei continui.
- Non ha altra scelta, deve continuare.

Se il soggetto avesse continuatoa a chiedere l'arresto dell'esperimento dopo le quattro risposte, l'esperimento sarebbe stato sospeso. Altrimenti, avrebbe avuto termine quando l'Insegnante avesse somministrato il massimo voltaggio (450 volt) all'Allievo per tre volte consecutive.

L'esperimento prevedeva anche reazioni particolari in risposta a commenti specifici da parte dell'Insegnante. Qualora l'Insegnante avesse chiesto se l'Allievo potesse subire danni fisici permanenti, la risposta sarebbe stata "Anche se lo shock è doloroso, non ci saranno danni permanenti ai tessuti, quindi per favore continui". Se l'Insegnante avesse fatto presente che l'Allievo stava manifestando la volontà di smettere, lo Sperimentatore avrebbe risposto "Che all'Allievo piaccia o no, lei deve continuare finchè lui non ha imparato tutte le coppie di parole in modo corretto, quindi per favore continui".

 

I risultati:


Prima di condurre l'esperimento, Milgram predispose un sondaggio tra quattordici dottorandi in Psicologia alla Yale per predire il comportamento di 100 ipotetici Insegnanti. Tutte le risposte indicavano che soltanto una frazione molto piccola di Insegnanti (da 0 a 3 su 100, con una media di 1.2) sarebbero stati disposti ad infliggere il massimo voltaggio. Milgram condusse un secondo sondaggio tra i propri colleghi Professori e risultò che anch'essi credevano che pochissimi soggetti avrebbero proseguito oltre un livello di shock significativo. Milgram infine chiese una previsione a quaranta Psichiatri di una Scuola di Medicina, e la il consenso generale fu che arrivati al decimo shock (135 volt), quando la vittima avesse cominciato a chiedere di essere liberata, la maggior parte dei soggetti avrebbe fermato l'esperimento. Essi predissero inoltre che al sopraggiungere dei 300 volt, quando l'Allievo avrebbe smesso di rispondere completamente, soltanto il 3.73% dei soggetti avrebbe continuato; infine, essi credevano che "soltanto una percentuale trascurabile di soggetti, vicina allo 0.1%, avrebbe somministrato il massimo shock possibile di 450 volt".

Nel primo set di esperimenti di Milgram, il 65% dei partecipanti (26 su 40) somministrò il voltaggio finale di 450 volt, nonostante si sentisse fortemente a disagio nel farlo. Tutti, in diversi momenti, si fermarono e chiesero spiegazioni o misero in dubbio l'utilità dell'esperimento; alcuni si dissero pronti a restituire il denaro che era stato loro pagato per partecipare all'esperimento. Durante l'esperimento, i soggetti mostrarono diversi gradi di tensione e stress: sudorazione, tremori, balbettio, morsi al labbro, mormorii, unghie nella pelle, e alcuni ebbero eccessi di risa o crisi nervose.

Al sopraggiungere dei 135 volt (con conseguenti lamenti e battiti sul muro da parte dell'attore) numerose cavie indicarono il proprio desiderio di interrompere l'esperimento e verificare la salute dell'Allievo; alcuni soggetti inoltre si fermarono e iniziarono a fare domande o esprimere dubbi sullo scopo dell'esperimento. La gran parte di essi, tuttavia, continuò dopo essere stata rassicurata dallo sperimentatore che non sarebbe stata considerata responsabile dell'accaduto. Alcuni soggetti cominciarono a ridere nervosamente o a esibire altri segni di estremo stress dopo aver udito le grida di dolore dell'Allievo. Interessante comunque notare che anche i partecipanti che rifiutarono di somministrare gli ultimi voltaggi non chiesero mai esplicitamente che l'esperimento in sè cessasse, nè lasciarono la stanza per verificare lo stato di salute della vittima senza prima chiedere allo sperimentatore il permesso di andarsene.

Milgram riassunse l'esperimento nel suo saggio del 1974, "I pericoli dell'obbedienza":
"Gli aspetti legali e filosofici dell'obbedienza sono di enorme importanza, ma dicono molto poco a proposito di come la maggior parte delle persone si comporta in una situazione reale. Ho elaborato un semplice esperimento all'Università di Yale per verificare quanto dolore potesse infliggere un normale cittadino ad un'altra persona semplicemente perchè gli era stato ordinato di farlo da uno scienziato. La cruda, nuda forza dell'autorità è stata messa in diretta contrapposizione con uno tra i più profondi imperativi morali - il non infliggere dolore agli altri - e, pur con nelle orecchie le urla delle vittime, l'obbedienza all'autorità è comunque risultata la pulsione vincente nella maggioranza dei casi. L'estrema volontà delle persone adulte di spingersi oltre qualsiasi limite se sotto il comando di una autorità costituisce al tempo stesso la principale scoperta scientifica del mio studio e il fatto che maggiormente merita un approfondimento.

Persone normali, semplicemente svolgendo il proprio compito e senza alcuna particolare ostilità personale, possono diventare agenti di terribili processi distruttivi. Ma non è tutto: persino quando gli effetti distruttivi diventano assolutamente chiari, ed alle persone viene chiesto di compiere azioni incompatibili con i principi fondamentali della morale, soltanto un numero esiguo di esse possiede le risorse di volontà necessarie per resistere all'autorità".

Successivi esperimenti furono svolti in diverse parti del mondo, mutando le condizioni (ad esempio diminuendo il livello di autorità percepita dalla cavia predisponendo l'esperimento in un anonimo ufficio cittadino invece che a Yale, una rinomata Università, o aumentando il grado di prossimità fisica o emozionale tra Insegnante e Allievo). Il livello di obbedienza, anche se in parte ridotto, non ha mai registrato diminuzioni significative e si è attestato quasi sempre sul 61-66% (per la somministrazione del voltaggio finale di 450 volt) indipendentemente dalle condizioni.

 

Le spiegazioni:

Milgram elaborò due teorie:
  • La prima è la teoria del conformismo, basata sugli esperimenti di Solomon Asch, che descrive la relazione fondamentale tra il gruppo e la persona. Un soggetto che non ha nè l'abilità nè l'esperienza per prendere decisioni, specialmente durante una crisi lascerà l'onere della decisione al gruppo e alla sua gerarchia interna. Il gruppo diventa il modello comportamentale di riferimento per il singolo.

  • La seconda teoria è quella dell'agenticità umana, dove, per Milgram "l'essenza dell'obbedienza consiste nel fatto che una persona arrivi a vedere se stessa come strumento per realizzare i desideri di un'altra e che, come tale, non si veda più come responsabile delle proprie azioni. Una volta che questo critico cambio di punto di vista si attiva, tutte le caratteristiche essenziali del comportamento obbediente ne derivano quali conseguenze.".

lunedì 25 maggio 2015

Mi sento solo.

Mi sento solo.

A casa, fuori, al lavoro. Delle diverse persone che conosco e per le quali sprecherei in contesti più informali la parola "amico", quelle a cui interessa si contano sulle dita di una mano (monca). E ogni giorno si allontanano un po' di più.

So che non dovrebbe importarmi. So che devo imparare ad accettare che le cose vanno così. So che l'illusione di essere speciali è un'illusione, che la coltiviamo tutti, e che per tutti è ugualmente falsa. Però, fuor di poesia, che nemmeno ad un cane passi per la testa che anche quelli bravi ad ascoltare abbiano, di quando in quando, bisogno di qualcuno che li ascolti non solo per educazione, è una brutta sensazione.

Il calore non è un letto condiviso. Il calore è una mano tesa.

martedì 17 marzo 2015

Tutte quelle buone sono già prese?

Si vede di continuo nei film: se la protagonista (o il protagonista) incontra qualcuno che sembra troppo perfetto per essere vero, c'è circa il 100% di possibilità che sia troppo perfetto per essere vero. A metà del secondo tempo si scopre che è già sposato, o gay, o un fantasma, o un serial killer. Tutti i partner decenti - uomini e donne - sottostanno a questa regola, nessuno escluso: un partner potenziale che sia single, divertente, carino, gentile e di successo alla prima luna piena si trasformerà inevitabilmente in un lupo mannaro e si mangerà la tua famiglia.

E la cosa non si limita ai film. A tutti è capitato di ascoltare un amico lamentarsi della carenza di ragazze single che valgano qualcosa, o di essere quello che si lamenta del deserto di possibilità che si vede attorno.

Beh, la scienza dice una cosa diversa. Il punto non è che "tutte quelle buone sono già prese", ma che siamo noi a percepire i partner "già presi" come "buoni".

A rischio di scendere nel banale, il proverbio all'opera qui è un altro, ovvero "l'erba del vicino è sempre più verde". In termini meno idiomatici, si chiama "principio di scelta non-indipendente" e significa che tendiamo a farci condizionare nelle nostre aspirazioni molto più da quello che tutti gli altri hanno scelto per sè che da quello che vorremmo per noi davvero. Nelle questioni di cuore, questo non soltanto ha una enorme influenza sulla percezione di un potenziale partner quale buon partito per una relazione a lungo termine, ma può persino influenzare quanto attraente lo troviamo fisicamente: diversi studi, ad esempio, dimostrano come lo stesso uomo venga considerato tanto più attraente dalle altre donne quanto più bella è la donna che sta con lui. Che è un po' come dire che per trovare una donna che ci desideri dovremmo aggiornare il nostro profilo facebook con immagini photoshoppate di noi e Sienna Miller a letto insieme.

Il bisogno di sentirci normali, per qualsiasi definizione di "normalità" si voglia intendere, è in assoluto la più potente pulsione sociale che esista, immediatamente seguita dalla volontà di primeggiare tra i nostri pari. Il principio di scelta non-indipendente le salvaguarda entrambe, perchè ci rende desiderabili i valori più universalmente diffusi e al tempo stesso ci sprona a metterci in diretta concorrenza con i nostri pari per lo stesso bottino.

Una prova? Andate da una donna e buttate lì un commento positivo, anche superficiale, sul suo compagno. Se siete a vostra volta donne, in un'età compresa tra i 18 e i 40 e mediamente piacenti (ma non è nemmeno necessario) scoprirete cos'è l'istinto di difesa. Ma difesa di cosa? Non dell'uomo in questione, che si spera poverino sia in grado di difendersi da solo, bontà sua, ma difesa della preda. Ambiamo a ciò che non possediamo, ma ancora di più ambiamo a ciò che possiedono gli altri, e quando abbiamo qualcosa lo stesso istinto ce lo fa proteggere dalle iene là fuori.

Perchè dentro di noi sappiamo che anche noi siamo iene, e al loro posto guarderemmo il pasto altrui con la stessa acquolina.

ps: è bene sottolineare che le meccaniche psicologiche non giustificano il tradimento.

pps: per evitare fraintendimenti, è bene anche rimarcare che se siete single avete comunque più probabilità di trovare l'anima gemella se portate il culo in palestra.

giovedì 5 marzo 2015

Nessun centro di gravità permanente.

L'equilibrio è ancora molto fragile. Vorrei parlarne con qualcuno ma è sempre più difficile, i candidati non sono più quelli di una volta. Oppure non danno le stesse risposte. Sono cresciuti, cambiati, e quello che prima veniva naturale ora esce sempre un po' più posticcio.

Non so come fare a bastarmi, e ho paura.

martedì 3 marzo 2015

La sincerità.

Oggi ho detto una frase vera al 100%. No acting, no tricks, no pretending, no planning.

"Credo che il motivo per cui mi piaci così tanto è perchè sei ancora viva".

Sembra una roba uscita da un film, e non so davvero come abbia fatto a uscirmi dalle labbra una cosa del genere. L'ha fatto di sua iniziativa, io non c'entro.

...poi torni in te e realizzi che per dire una cosa del genere e crederci davvero devi prima considerare te stesso, e gran parte delle persone di cui ti circondi, dei morti.

Avanti pure...

giovedì 22 gennaio 2015

Come impedire ai terroristi di rovinare il mondo

In questi giorni tutti hanno ben presente gli orribili attacchi di Parigi, nei quali dei militanti islamici hanno massacrato una redazione piena di vignettisti satirici per aver disegnato vignette che prendevano per il culo la loro religione (se state leggendo questo articolo nel futuro, potete inserire al posto di questo incipit qualsiasi altro omicidio di massa che sia capitato da poco – è la stessa cosa).

E’ molto facile reagire in modo sbagliato a questi orrori quando succedono, per cui ho deciso di stilare un piccolo vademecum che potete consultare.

Stampatelo, attaccatelo al muro con una puntina e andate a rileggerlo quando serve.

Cominciamo:

#6 Non tenete il conto

Quale miglior modo di cominciare che citare il grande filosofo noto come Il Poster de “Il Giustiziere della Notte 2”?
“Prima sua moglie. Ora sua figlia. E’ tempo di pareggiare i conti.”
Beh, nel caso di un attacco terroristico, il primo passo è dimenticarsi completamente dei “conti”.
Tutti, non soltanto Charles Bronson, abbiamo un invisibile segnapunti nel cervello che tiene il conto di quante volte ci hanno fottuti rispetto a quante volte siamo stati noi a fottere gli altri. Cominciate a litigare con qualcuno, ed è il segnapunti a decidere l’agenda – se la vostra ragazza vi rinfaccia che da ubriachi avete pisciato fuori dal cesso e combinato un casino, allora voi tirate fuori quella volta che la stronza è andata scosciata ad una festa “di amici”. BOOM, la palla è di nuovo nel tuo campo, puttana!

Questo è esattamente il brutto scherzo che il mondo gioca alla gente, ed è precisamente il tipo di cosa che ti fotte la vita da quando nasci a  quando muori: in realtà, il tuo vero nemico non è il tuo avversario, ma è il segnapunti. Si, lo so, sembra una di quelle cazzate zen, ma lasciatemi fare un esempio:

Ogni volta che uno stupratore viene arrestato, andate nella sezione commenti di qualsiasi testata online, magazine, o forum: il 100% delle conversazioni sull’argomento sarà del genere “Spero che in prigione lo stuprino!” Vedete? Perché quello “pareggerebbe i conti”.

Ma basta pensarci cinque secondi per capire quanto mostruoso sia il ragionamento, perché in realtà quello che c’è scritto è: “lo stupro è giusto, finchè se lo beccano persone che se lo meritano!”. No, la dura verità è che se il criminale viene stuprato nelle docce, il punteggio non è: Stupratore 1, Società 1.

E’: Stupro 2, Società 0.

Poichè è aumentato il numero di stupri nel mondo, e si è consolidato il concetto di stupro come qualcosa che potrebbe/dovrebbe succedere, l’abbiamo fatto diventare qualcosa di più comune di prima. Meno tabù. Più accettabile concettualmente. Allo stesso modo, pensate al litigio con la vostra ragazza: con il passare degli insulti, c’era uno dei due litiganti che stava vincendo o perdendo? No – l’unico vero sconfitto era la vostra relazione.
Magari stavate pensando che il segnapunti segnasse Voi 22 e la Stronza 16, ma il vero punteggio era Rancore 38, Relazione 0.

Il segnapunti, in realtà, non è altro che la manifestazione della parte più violenta, primitiva e bestiale del nostro cervello. Vedere qualcuno farci un torto e far finta di niente – lasciare che il “punteggio” resti in suo favore – è quasi fisicamente doloroso.

E torniamo al punto di partenza: se accendete la tv e sentite che i terroristi hanno fatto saltare in aria 10 bambini con un’autobomba, questo è il primo passo: rendetevi conto che il segnapunti mente. Vi dirà che per vincere dovete rispondere, il che significa lanciare bombe che sapete fin troppo bene uccideranno dieci volte quel numero di bambini come danno collaterale. Il punteggio – il vero punteggio – a quel punto sarebbe:
Violenza contro i bambini 110, Umanità 0.
Ecco, questo è il punto del mio articolo dove provo a immaginare cosa state obiettando, e sono abbastanza sicuro che sia qualcosa come “Ah ecco, e quindi secondo te la risposta è che dobbiamo lasciare che facciano quel cazzo che gli pare? Dobbiamo difenderci e lottare per i nostri valori, per la libertà e per la moralità, altrimenti il Male vince! Questa è una guerra!”.

Si, sono abbastanza d’accordo, ma…

#5 Assicuratevi di essere dalla parte giusta

Uhm, questo sottotitolo suona come se stessi per suggerire che dovremmo tutti considerare di arruolarci nell’ISIS. No! Fermi! Non fatelo! Se qualcuno si è già arruolato nell’ISIS nel tempo tra la lettura del titolo e la lettura di questa frase, chiedo scusa.
Per gli altri di voi che sono riuscito a fermare sulla porta, chiedetevi questo: quando un gruppo di terroristi fa saltare una scuola, o un autobus, o crivella un ufficio pieno di disegnatori, pensate che sia perché non sanno che noi abbiamo le armi, le bombe e i droni? Pensate che lo facciano perché credono che “siamo troppo deboli per vendicarci”, e che quindi dobbiamo “mostrare loro quanto siamo forti?”
Eccheccazzo, quella gente è capace di leggere i giornali. Sanno esattamente che cosa faremo: reagiremo per rappresaglia, al di là di ogni proporzione. Lo facciamo tutte le volte. Ecco perché agiscono come agiscono.

Quindi fermatevi, fate un passo indietro, e cercate di capire una cosa che la maggior parte degli occidentali non capisce:

Loro fanno quello che fanno perché sanno che siamo troppo deboli per resistere alla tentazione di attuare una rappresaglia.

La nostra risposta istintiva “bombardiamogli il culo” è la nostra debolezza. E loro stanno cercando di sfruttarla, perché i bombardamenti di rappresaglia sono il loro mezzo per portare altri terroristi dalla loro parte. E per favore, tenete presente che quando parlo di “loro parte” non sto parlando dell’Islam, e nemmeno del terrorismo islamico. La loro “parte” è quello che d’ora in avanti chiamerò “il partito della violenza”. Un bullo non combatte perché vuole vincere; combatte perché vuole un mondo dove tutte le diatribe si risolvano combattendo (nota: spesso nemmeno il bullo è cosciente di questo – il che non lo scusa, in ogni modo). Non ha alcuna importanza se perde – nel momento in cui hai deciso di combattere, la sua parte ha già vinto, e il mondo diventa un po’ di più come lo vorrebbe lui.
E, a meno che non siate disposti a combattere 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana, provate un po’ a immaginare quale sarebbe il vostro posto in un mondo del genere.

Nel caso in questione, è la stessa cosa – i terroristi non sono dalla parte dell’Islam. Loro sono dalla parte delle bombe.

Quello che ho scoperto, e sul quale immagino che diverse persone siano discordi con me, è che non fa alcuna differenza sotto quale bandiera si combatte – se l’Islam radicale sparisse domattina, il “partito della violenza” ricomparirebbe sotto un altro nome. Magari non si giustificherebbe più dietro al Corano; magari rinascerebbe nel nome dell’eugenetica, o della purezza razziale, o dell’ambientalismo, o della superiorità di Batman rispetto a Superman.

Nei momenti immediatamente successivi ad un attacco si sente sempre parlare di scontro di civiltà, di guerra culturale tra primitivi e selvaggi fondamentalisti religiosi e moderne, secolari società occidentali. Ma nel momento stesso in cui accettate questo paradigma, fate già parte del loro meccanismo. E’ il meccanismo della risposta tribale – il primitivo istinto che dice che il tuo “gruppo” deve vincere a tutti i costi, e non ha alcuna importanza come definite il vostro gruppo (razza, religione, nazione, modo di vivere), perché per come la vedo io esistono solo due gruppi:
  1. Quelli che pensano che la propria tribù debba dominare la terra;
  2. Quelli che pensano che le tribù possano coesistere.
Basta guardare cos’è successo l’ultima volta: un gruppo ci ha attaccato. Abbiamo tutti convenuto che dovevamo fermarli, perché erano intolleranti delle altre culture, non rispettavano i diritti umani, ed erano violenti.

Ci hanno detto che l’unico modo di batterli era diventare più intolleranti delle altre culture (“costruire una moschea vicino al sito degli attacchi alle torri gemelle sarebbe come mettere un poster di propaganda nazista di fianco all’entrata di un museo sull’Olocausto”) , non rispettare più i diritti umani (“il diritto di privacy per i cittadini non statunitensi è troppo radicale e pericoloso per gli alleati”), e diventare più violenti (“c’è più di un miliardo di musulmani. Se l’1% diventasse fanatico Jihadista, si parlerebbe di qualcosa come dieci-dodici milioni di terroristi. Quindi noi dobbiamo uccidere una buona fetta di quei dieci-dodici milioni”).

In altre parole, “non possiamo batterli a meno di non diventare più simili a loro”. E’ come se un medico vi dicesse che l’unico modo di liberarvi di un tumore fosse quello di fargli crescere vicino un altro tumore, più grosso e più cattivo. Anche se funziona, a vincere è il Team Cancro, e siete appena ricaduti nella stessa fregatura che ha fatto inciampare l’umanità centinaia di volte negli ultimi 200mila anni.

Per evitarla…

#4. Non grattatevi il prurito

Poco dopo l’attacco, gli opinionisti compariranno su tutti gli schermi spiegando in toni appassionati come la scelta coraggiosa sia quella di odiare i musulmani – e lo faranno come se fossero la solitaria ma indomita voce in un mondo troppo spaventato per abbracciare una simile, controversa opinione.

La realtà – che avete imparato da quando eravate troppo piccoli per fare la cacca senza pannolino – è che il riflesso più automatico ed istintivo è sempre quello di rispondere ai colpi, e che diventare grandi significa resistere alla tentazione. Quando eravate arrabbiati con un giocattolo, lo rompevate, quando vi dà fastidio una zanzara, la schiacciate. Quando qualcuno vi offende su un forum, gli date dello stronzo. Ogni volta è la stessa storia, la parte primitiva del cervello che prende il sopravvento. Non c’è niente di coraggioso in questo – anche un cane lo fa. Cazzo, le piante lo fanno.

E’ la parte del cervello umano dedicata al ragionamento – la parte umana – che dice di fermarsi, di resistere all’istinto, e di pensare a quale azione sia più appropriata per rendere la situazione migliore. E’ come resistere alla voglia di grattarsi un prurito, e fermarsi a pensare “forse è meglio se smetto di grattarmi fino a sanguinare e vado da un medico”. E questa è la cosa più difficile da fare, perché grattarsi il prurito di violenza ci fa sentire fottutamente bene. Ci fa sentire così bene che scriviamo interi libri per razionalizzarlo, per farlo sembrare la posizione ragionata e soppesata che non è.

Ma non possiamo perdere di vista il nocciolo della questione, ovvero che:

“Uccidiamoli tutti!” è la reazione facile e pigra. E’ il riflesso bestiale, l’istinto animale e tribale che esce dalla parte primordiale e da cavernicolo del nostro cervello. E la cosa peggiore è che siamo creature irrazionali e superstiziose, e questo istinto va rapidamente in metastasi trasformandosi nella superstizione più vecchia e distruttiva di tutte:

“Questa persona mi ha fatto del male, quindi in risposta devo punirla, e punire tutti quelli come lei”.

Sono passati migliaia di secoli, ma questa parte non è cambiata – pensare a tutto in termini di guerra culturale ci fa ancora sentire bene. Se un criminale è nero, non è un uomo che ci ha fregato una Tv per comprarsi le canne – è un sintomo di un problema razziale. L’adolescente in fila davanti a me al cinema non è un ragazzino fastidioso, è parte di “questa generazione di viziati imbecilli”. Chiunque ci fa un torto diventa, ai nostri occhi, un soldato dell’armata contro cui vorremmo muovere guerra.

Resistere a questa idea richiede uno sforzo mentale notevole – l’equivalente di aspettare che l’ammoniaca faccia il suo effetto mentre la puntura di zanzara ci prude da morire. Significa garantire empatia e umanità a qualche assoluta testa di cazzo che non farebbe lo stesso per noi. Ricordate, prendere la strada migliore non dà soddisfazione. La vendetta dà soddisfazione, la schadenfreunde dà soddisfazione. Prendere la strada migliore è come stare seduti perfettamente immobili mentre una mosca vi gira attorno all’orecchio, per sempre.

Questa è la cosa che quasi nessuna dellle “morality tales” che avete mai sentito – dalle parabole religiose alle sitcom di prima serata – comprende. Le loro storie raccontano sempre che “fare la cosa giusta alla fine fa sentire bene!”. Il barbone è grato degli spiccioli che gli vengono dati, il cattivo si scioglie di fronte alla vera gentilezza d’animo. Ma nel mondo vero non è così. Là fuori, i cattivi vedono la vostra empatia come un segno di debolezza, e ne approfittano sfottendovi nel frattempo. Il senzatetto prende la vostra coperta e ci si spazza il culo. L’amico a cui avete prestato denaro lo usa per farsi dipingere dietro casa un enorme murale di una tettona nuda. Eppure dovete prendere comunque la strada migliore.

Perché? Perché in realtà, l’unica “guerra culturale” è tra quelli che prendono la strada migliore e quelli che non lo fanno.

Se vi aiuta, fate uno sforzo e…

#3 Ricordate che il Male è raro, ma la Debolezza è molto comune

Nella mia esperienza, meno di una persona su venti è d’accordo con la frase “il male è raro”; eppure a me sembra così semplice da provare. Quante persone davvero malvage avete conosciuto nella vostra vita, e quante invece hanno semplicemente fatto degli sbagli? Io ho conosciuto due, forse tre menti diaboliche in tutta la mia vita, e una era un gatto.

Se volete un esempio un po’ più circostanziato, guardiamo, che so, a tutti gli omicidi commessi in un anno. Le statistiche dicono che più della metà delle vittime sono state uccise da qualcuno che conoscevano, o persino da un membro della propria famiglia (come un marito che ammazza la moglie in un impeto di gelosia). Circa il 42% delle vittime sono state uccise in un raptus durante una lite, un altro 23% è stato ucciso nel corso di qualche altro crimine (rapina a mano armata, ad esempio) e così via. In altre parole, se non consideriamo:
  • La persone ubriache-drogate-non in sé in genere
  • Le persone con gravi disturbi mentali
  • Le persone che hanno ucciso in preda a rabbia o a raptus improvvisi
  • Le persone che hanno ucciso nel corso di altri crimini (ad esempio una rapina finita male)
  • Le persone che hanno ucciso per difesa o perché credevano di essere in pericolo
…e così via, finchè non sono rimaste solo le persone che hanno freddamente, consapevolmente deciso di commettere un omicidio come si vede nei film, scopriremo che non ce ne sono poi molte. Oh, naturalmente ce ne sarà qualcuna – i boss del crimine lo fanno senz’altro, ed esistono persone che commettono omicidi accuratamente premeditati per denaro, ad esempio. Ma io credo che per ognuno di questi freddi criminali ci siano dozzine, o centinaia, di sbandati.

Cioè, essenzialmente, gente il cui problema non è la malvagità, ma il cattivo controllo dei propri impulsi, o l’instabilità mentale, o la dipendenza; o più in generale persone che non riescono a mettere in carreggiata la propria vita. Sono persi, senza forza di volontà, e finiscono tra le persone sbagliate.

Il problema, ancora una volta, è che ci fa sentire molto meglio immaginare che chi ci fa del male lo faccia per volontà intenzionale o per una forma di patologico egoismo sociopatico. Perché vedete, se fossero soltanto sbandati che passano la maggior parte del tempo vittime di se stessi, sarebbe più difficile fantasticare di ucciderli. Se i loro cattivi impulsi, le loro dipendenze, il loro odio irrazionale e le loro irrazionali paure facessero a loro più male di quanto male loro fanno agli altri, allora il nemico sarebbero quegli impulsi e quelle paure. E dove starebbe il divertimento? I cattivi impulsi e le paura non si possono uccidere con le pistole, i missili o il kung fu (per ora).

Hey, volete fare incazzare i vostri amici di Facebook? Fategli vedere quanto sono belle le prigioni in Norvegia. Volete fare incazzare un Cristiano? Non ditegli che Dio non esiste… ditegli che non esiste l’Inferno.


#2 State attenti a Hitler

C’è una forma particolare di pessimo dibattito che la gente usa ogni volta che viene accusata di tenere un atteggiamento improduttivo o distruttivo: in pratica, consiste nel portare un esempio perfetto di quando quell’atteggiamento distruttivo ha funzionato, e poi continuare a battere su quel tasto, ancora e ancora. E’ una specie di Bacchetta Magica Anti Critiche.

Ad esempio, il vostro zio razzista comincerà, alla minima provocazione, a parlare di quella volta in cui aveva sospetti sulla nuova famiglia di immigrati che era arrivata nel quartiere, e ha scoperto che aveva ragione! Quel bastardo del figlio grande gli ha spaccato un vetro e gli ha portato via l’autoradio dopo neanche un mese!

Questo perfetto esempio torna a presentarsi ogni-singola-volta che il suo razzismo viene messo in discussione. I neri sono geneticamente predisposti alla violenza? Tu dici che non c’è alcuna scienza che lo prova. Lui tira fuori l’aneddoto. Lui fa una battuta razzista? Tu gli fai presente che è inappropriata, e lui risponde “sai cosa è inappropriato? CHE MI RUBINO L’AUTORADIO. Come quella volta che quei negri sono venuti a stare qua …”

E quando suggerisci che la violenza potrebbe non essere la soluzione, il “partito della violenza” ha sempre la stessa risposta:

“E allora Hitler?”

La cosa non si limita a queste tre parole – c’è un intero arco narrativo che dice a) Hitler era il male perfetto, sconfitto dal bene; b) Hitler poteva essere fermato solo con la guerra; c) Gli imbelli smidollati che volevano evitare la guerra sono stati il vero motivo per cui la guerra è scoppiata; e d) Qualsiasi discussione sui fattori che hanno in primo luogo permesso la scalata al potere di Hitler sono irrilevanti tentativi di deviare il discorso. La conclusione è che se sei contro l’uso della violenza in qualunque caso e indipendentemente da chi è coinvolto, saresti stato a tutti gli effetti pro-Hitler (“se avessi sostenuto queste tesi nel 1941, ora parleremmo tutti tedesco”).

Vien da sé che, anche se si prendessero per buoni tutti i punti di cui sopra (non lo sono), non si applicherebbero comunque a ogni situazione futura, né sarebbero una buona chiave di lettura per le situazioni in genere. Per cui l’unica vera risposta di fronte a questo tipo di argomentazione è, perché hai questa riflesso automatico a mettere sul piatto l’aneddoto sul male assoluto ogni volta che il bisogno di violenza è sotto esame? Perché ti senti infiammare dentro mentre lo fai? Perché tendi ad essere sprezzante e sembri suggerire che chi non  d’accordo è debole, o naif? Perché difendi l’uso della violenza come se fosse per te qualcosa di sacro?

“Aspetta un attimo, quindi secondo te le persone che soffrono sotto un brutale regime al giorno d’oggi dovrebbero far buon viso a cattivo gioco, perché la violenza in sé è sbagliata?” No! E guarda un po’, ci siete cascati di nuovo, un esempio perfetto inventato per dare forma aneddotica a un concetto e svilirne le fondamenta generali. E in ogni caso, se l’umanità progredisse fino al punto nel quale la violenza venisse usata esclusivamente da popolazioni nobili e oppresse contro regimi malvagi e totalitari contro i quali nessun’altra opzione fosse viabile, credo che nel complesso saremmo già ad un ottimo punto.

C’è poi l’altra critica, meno comune, che suggerisce che la persona che mette in discussione il bisogno di violenza sta disonorando le truppe (“E’ facile startene qua seduto nella tua comoda casetta calda e protetta e parlare di “pace” mentre ci sono uomini coraggiosi che ti difendono rischiando la propria vita”). Questa argomentazione, per quanto emozionalmente potente, non regge: se voi andaste da un veterano ferito e gli diceste “Amico mio, io spero di creare un mondo nel quale brave persone come te non debbano più rischiare di beccarsi un proiettile ma possano vivere vite lunghe, serene e felici”, dubito che quello si sentirebbe offeso o disonorato.

E in ogni caso, entrambi gli approcci “E allora Hitler” e “Onora le truppe” non hanno praticamente mai il fine di discutere un problema o di scambiare punti di vista. Sono formule magiche pensate per chuderle, le discussioni, perché la parte del nostro cervello che ama il “partito della violenza” reagisce alle critiche nello stesso modo in cui gli estremisti islamici reagiscono alle vignette che spernacchiano il Profeta.

A questo proposito…

#1 Ricordate che stiamo vincendo

C’è un’ultima bugia che sentite ogni giorno, ed è quella contro la quale non posso fare a meno di battermi ogni volta che ci incontriamo. E’ l’assunto secondo cui, alla fine, la violenza vince sempre perché non esistono modi davvero efficaci di combatterla se non con le sue stesse armi. E’ il motivo per cui siamo così spaventati dai criminali – puoi essere un miliardario, e un qualunque stronzo può spararti in un vicolo e tutto il denaro del mondo non riuscirà a salvarti -, è l’arma definitiva a disposizione dell’umanità. “Alla fine cosa cambia? Che cosa ce ne facciamo di tutta la nostra ricchezza, delle infrastrutture, di una cultura progredita, se un gruppo di estremisti violenti ci può semplicemente far saltare in aria”?

La risposta, ovviamente, è che quello che abbiamo cambia tutto.

L’idea che, alla fin fine, la violenza sia l’unica cosa che funziona davvero è probabilmente il mito più diffuso – e più facile da sfatare – nella storia umana. La verità è che la violenza quale metodo di risoluzione delle controversie è in continuo, costante declino da migliaia di anni. Nel Medio Evo, il tasso di omicidi per abitante era cinquanta volte quello che c’è in Europa al giorno d’oggi.

La stessa legge del taglione, che in queste settimane ho sentito citare spesso quale mezzo per rispondere agli attacchi, è un esempio di quello che intendo. “Occhio per occhio, dente per dente, vita per vita” è uno dei primi esempi del tentativo sociale di arginare la violenza e non, come viene spesso inteso oggi, di legittimarla. Anticamente, infatti, “occhio per occhio” non era una dottrina prescrittiva, ma una dottrina preventiva. Sostanzialmente, diceva, se uno ti spacca un dente non lo devi ammazzare, ma al massimo gli puoi spaccare un dente. Se qualcuno ti cava un occhio non lo puoi ammazzare, al massimo devi cavargli un occhio. Soltanto se ha preso una vita è giusto avere la sua vita in cambio. In questo senso, era un modo per arginare le escalation di vendette e le faide tribali. Era una legge basata sul tentativo di limitare la reazione istintiva e vendicatrice, e di porre le basi per una società complessa e capace di sopravvivere ai dissensi interni ed esterni.

Che è un po’ come dire che il massimo che possiamo fare, in termini di violenza, è ammazzare 12 vignettisti fondamentalisti.

Pensate agli attacchi contro Charlie Hebdo in una luce diversa, e vi renderete conto di quanto futili. Se il tuo dio è reale, è altamente probabile che non gli importi granchè di essere preso in giro. Per definizione, un essere supremo onniscente ed onnipotente non ha quel tipo di insicurezza. La reazione istintiva di spazzare via i critici con la violenza viene unicamente dai terroristi, dalle loro paure e dalla loro rabbia – del tutto umane. Il che prova, in altre parole, che quegli uomini si affidano alla violenza perché non hanno veramente fede nel fatto che il loro Dio sia così onnipotente.

Il crescere della violenza è un segno di debolezza e paura. E’ una crisi della fede - il segno che il tuo modo di fare le cose è fragile – un castello di carte che può cadere al primo scossone. Nel nostro come nel loro caso, cedere ad esso significa credere che una civiltà pacifica non possa funzionare.

Beh, sapete cosa? Io ho fede nella civiltà. La storia dice che non possono batterci – possiamo solo batterci da soli. La violenza non è in aumento; è solo che è più spesso sui giornali e sui notiziari, perché ci sono molti interessi da tutelare e molti soldi da fare andando a pescare nelle acque torbide dei nostri istinti, se glielo lasciamo fare.

Non cascateci.

Nota: ringrazio David Wong di cracked.com per aver detto quello che penso molto meglio di quanto avrei mai potuto fare io.

mercoledì 10 dicembre 2014

Oibò, il tempo passa

Che significa "ultimo post il giorno 1 agosto"??? Che non ho scritto niente di niente del mio autunno? Ma quelli che mi dicono che sono una brutta persona hanno ragione...

Vabbè, super riassunto: finalmente ho completato l'iter universitario, e finalmente ho potuto toccare con mano che, obiettivamente, non è cambiato niente. La felicità di chi mi sta accanto è durata la pipì di una farfalla, e la mia poco di più. Però oh, ho smesso di passare tutte le mie ore da sveglio nelle quali non stavo lavorando a studiare, e questo in sé è un gran bel risultato. Pian pianino la tensione si è sciolta, e insomma tutto è tornato al suo posto. Nel netto mettiamoci pure che sul letto di morte mio padre mi odierà un filino meno. Tutto fa brodo nella grande ruota del karma.

E a proposito di karma, la buona notizia andava immediatamente bilanciata, perchè il Dio del Contrappasso è un burlone mica da ridere. Il giorno prima della discussione della tesi un idiota mi ha sfasciato la macchina, e nei giorni successivi mi sono arrivate due notizie davvero brutte relative a due persone a cui voglio bene (quasi) quanto a me stesso. Bei momenti, e per fortuna che una delle due brutte notizie si è da pochissimi giorni rivelata solo un allarme infondato... la seconda purtroppo è vera e definitiva, ed è così brutta che a volte mi impongo di non pensarci per non starci troppo male, e non sono nemmeno coinvolto, per dire. :(

Vabbè, insomma, son laureato, tra poco mi arriva una macchina nuova, e tra poco questo 2014 di merda finisce per non tornare maimaimai più, quindi c'è ancora speranza per il futuro :)

venerdì 1 agosto 2014

Uccidere un cane

Ieri 31 luglio 2014 è uscita sui giornali questa notizia: in breve, il 18 luglio scorso due uomini in provincia di Brescia sono stati immortalati da un escursionista mentre uccidevano uno dei propri cani.
I due sono stati identificati dai Carabinieri e denunciati; le motivazioni del gesto sono da accertare, e la loro versione sarà evidentemente verificata da chi di dovere.

Questa vicenda è oggettivamente orribile. Io amo gli animali, credo che il cane sia una creatura capace di una intelligenza e di una dolcezza straordinarie, e le persone incapaci di riconoscere l'incredibile amore che possono dare le ho sempre trovate un po' aride, lo confesso.

Diciamo di più: io non ho mai avuto un animale domestico fino a pochi mesi fa. Ora ho due gatti e per loro farei qualsiasi cosa. Sono intelligenti, affettuosi, giocherelloni, ed è un piacere prendermene cura. Sono amici, sono famiglia, e mi immagino senza troppo sforzo a far pentire amaramente qualcuno che facesse loro del male. Non proprio come se toccassero i miei nipotini, ma quasi.


Però, ecco... io di questa cosa ho avuto notizia su Facebook questa mattina. Tramite una foto condivisa da un mio contatto sulla propria bacheca. Leggendo i commenti alla foto, si trovano perle come "facciamoli a pezzi sti bastardi", "lo arrestino subito e lo uccidano", "andiamo", "linciaggio", "spedizione punitiva". Vale la pena di sottolineare che oltre alla foto veniva linkato il profilo facebook di uno dei due uomini, l'indirizzo della sua Impresa, e il suo numero di telefono.

Ora, giuro che sono serio: qualcuno mi spiega a cosa serve la gogna? Questi due sono stati identificati dai carabinieri, denunciati, e verranno giudicati ed (eventualmente) condannati dallo Stato italiano per il reato di uccisione di animale, previsto dal codice penale. A cosa serve mettere la loro foto su facebook? A cosa serve far montare l'indignazione? A cosa serve distribuire forconi e torce?

Ve lo dico io a cosa serve: a niente. Volete sentirvi bene? Indignarvi non serve a una mazza, questa è la verità. La pietà vi fa sentire meglio, la pietà vi fa essere utili, la pietà vi allena all'empatia. La rabbia non vi allena ad altro che ad arrabbiarvi meglio la prossima volta, per cose sempre più piccole, finchè reagite all'uccisione di un cane come reagireste all'uccisione di vostro figlio. E fosse il VOSTRO cane, capirei. Ma non lo è. Augurare la morte alla gente non fa di voi persone forti, nè persone morali, nè, udite udite, fa di voi persone che amano i cani.

Fa di voi solo persone che rispondono alla violenza con voglia di altra violenza.

L'amara verità è che la gente non si muove mai per pietà. Si muove sempre per rabbia. Ma la rabbia che fa muovere la gente è quasi sempre selettiva. Ognuno di noi passa davanti a centinaia di potenziali indignazioni ogni giorno, poi ne pesca una che può sfogare da casa tra un cappuccino e un documentario, e la cavalca come se non ci fosse un domani. Così son buoni tutti però. Non pensiate di essere tanto speciali. Provate ad indignarvi per qualcosa per cui è meno facile ottenere dei like. Provate ad indignarvi per qualcosa fatto a qualcuno che tutti disprezzano.

Se poi oh, vi andasse anche di non provare proprio ad indignarvi e lasciar fare ai Carabinieri il proprio lavoro... va poi bene lo stesso, eh.

giovedì 31 luglio 2014

Errore mio

Oggi ha pranzo ho fatto una cosa che non avrei dovuto fare, forse. Cercare di spiegare me stesso davanti a un piatto di insalata.

Ho avuto l'impressione che tutti abbiano subito inquadrato la situazione come un dibattito dove erano in competizione punti di vista contrapposti e dove si segnava un punto se si mostrava all'avversario dove stava il suo errore.

Mentre invece parlavo di me.

E' stata una cosa stupida.

Verità, Bugie, Internet

Qualche anno fa girò per Twitter una storia orribile: un ragazzo era stato ucciso in una rissa davanti ad un negozio dove era esposto in anteprima l'ultimo modello di Nike.
Quando due giornalisti del Baltimore Sun cominciarono a scavare un po' a fondo, scoprirono che la storia era una bugia. La presentazione delle nuove scarpe aveva attratto una piccola folla, ma nessuno era stato ucciso.
 La storia fece scalpore perchè fu subito riletta come il trionfo dei media tradizionali, la rivalsa della vecchia scuola di reporter-detective abituati a chiamare la gente al telefono, fare ricerche, e scoprire la verità.

Un commentatore su un forum in cui si era parlato in termini accesi della tragedia (prima che venisse svelata la verità) commentava in quei giorni così:

Dopotutto, se in questi giorni qualcuno avesse postato un commento segnalando che non c'era stato alcun morto, la sua segnalazione sarebbe stata a malapena udibile nel rumore di fondo. E ci sarebbero state immediatamente decine di persone pronte a sostenere che chiunque mettesse in dubbio la tragedia era un bastardo irrispettoso. C'è qualcosa che si può fare per arginare la "democrazia della massa" (mobocracy nell'originale comento in inglese)? Come possiamo tenere alte le migliori tradizioni del giornalismo utilizzando i nuovi strumenti solo al fine di eliminare le peggiori? Come possiamo preservare l'accuratezza dell'informazione?

C'è senza dubbio cattiva informazione su internet. E siccome è internet, si propaga ad una velocità spaventosa. Ma è anche vero che internet rende il cosiddetto fact-checking molto più veloce ed esaustivo. I sistemi di voto e revisione incrociata utilizzati da factcheck.org o da giganti come wikipedia sono funzionali, e se capita l'errore, come quando un sito di fact-checking come Politifact tira una crepa votando "Bugia dell'Anno" una notizia vera, le reazioni sono immediate.

Una domanda più interessante è perchè, nell'età dell'Informazione dove Google è sinonimo di enciclopedia, esiste la disinformazione (anzi, meglio, la misinformazione).
Come molti debunker fanno spesso notare, tantissime leggende metropolitane sono verificabili semplicemente con un click, in non più di trenta secondi, e tuttavia continuano a circolare da anni.

Per come la vedo io, questo può essere spiegato da un'affascinante teoria su come funziona la mente, avanzata da Hugo Mercier e Dan Sperber, due psicologi cognitivi.

E' credenza comune che la mente umana raccolga le informazioni, e poi applichi ad esse il ragionamento per produrre idee ed opinioni. Ma si tratta di un mito: molti studi hanno dimostrato che gli umani sono piuttosto incapaci quando si tratta di ragionare, almeno nel senso comunemente accettato, e cadono spesso in trappole ben note, come ad esempio il bias di conferma (la tendenza ad assorbire più facilemente le informazioni che confermano il punto di vista già condiviso dal soggetto rispetto a quelle che lo smentiscono).

Mercier e Sperber sostengono che la spiegazione del motivo per cui il ragionamento umano è così portato a commettere errori non è che è di scarsa qualità, ma  è che noi lo misuriamo secondo standard sbagliati. La ragione umana non esiste per fornirci un quadro accurato del mondo; esiste per strutturare e dare vita al confronto. La mente umana è infatti molto più brava ed efficiente a scovare i punti deboli e i difetti nei ragionamenti altrui che nei propri, e nel caso di coppie o gruppi sociali produce in questo modo analisi molto più accurate di quanto faccia se lasciata a se stessa.

Secondo questa teoria, quindi, per quanto ci piaccia pensare altrimenti, i "FATTI" non sono al centro del nostro processo di comprensione del mondo; la loro funzione primaria è invece quella di strumenti per smentire le opinioni altrui.

Questo è il motivo per cui internet ha portato all'età dell'oro del Fact Checking. Internet è un medium perfetto per smentire, e i fatti sono il cuore delle smentite. Il sito di Snopes, ad esempio, serve a confutare in pochi secondi una mail che ci è stata inoltrata da un amico complottaro e petulante, ma pochissime persone lo usano e lo navigano per imparare cose nuove solo per il piacere di farlo.

La teoria di Mercier e Sperber sul funzionamento della mente arriva secondo me dritta al motivo per cui diamo valore all'accuratezza nel giornalismo e nella comunicazione pubblica: li usiamo come "proxy" per la credibilità. Ci serve un punto di riferimento quando costruiamo le nostre credenze: se finiamo per credere in una cosa falsa, infatti, essa finirà per essere inevitabilmente il punto più vulnerabile del nostro sistema di idee e di opinioni. Il fatto che una persona abbia verificato e studiato da vicino (almeno in parte) le cose in cui crede o sulle quali ha una opinione, è il metro sul quale la valutiamo e la giudichiamo. Come politico, come opinion maker, come essere umano pensante.

Ma la scelta di affidarsi a un proxy accurato non è sempre una buona scelta dal punto di vista della qualità. E in ogni caso, la qualità è molto più difficile da verificare.

Il fact checking si può fare sulle singole parole, sulle cifre, sulle date. Quasi sempre, quando una notizia contiene una falsità di questo tipo, puoi correggerla senza cambiare quasi niente del paragrafo a parte il dato errato.
Ma un articolo può essere anche falso in modo più subdolo. Può suggerire connessioni o implicazioni inesistenti anche se i dati sono giusti. Il giornalismo "per sentito dire" o il giornalismo "tizio X ha detto Y" può essere interamente accurato, e non essere utile neanche un po' per spiegare un problema o una idea, per non parlare dell'ispirare empatia o compassione.

Noi continuiamo a credere che la verità col tempo si fa sempre strada, e che la verità dei fatti ci salverà un giorno per sempre dalla menzogna. Questo è il credo di moltissimi (eroici) scova-bufale di professione, che combattono una battaglia di cui non vedono la fine ma nella quale credono molto.
L'idea è che un giorno avremo migliore informazione, prenderemo decisioni migliori, eleggeremo leader e rappresentanti migliori, costruiremo un governo migliore, insomma staremo meglio.

E' una visione molto ottimista, ma io credo che non sia in linea con la vera natura degli esseri umani - né del mondo. Se ci si ferma un momento a ragionare sulla teoria di Mercier e Sperber, si capisce che sono i percorsi narrativi, le idee, e le ideologie che muovono il mondo, e non i fatti.

Internet un giorno eliminerà la piaga dei dati errati. Forse. E certamente, in risposta alla montante marea del qualunquismo boccalone pronto a credere qualsiasi cosa, sta coltivando una nuova progenie di menti che si dedicano a sfoltire il sottobosco della menzogna. E' confortante.

La battaglia per l'accuratezza continua, e non è detto che verrà persa. Ma non bisogna mai dimenticare che l'accuratezza ci può portare solo fino ad un certo punto. E dopo quel punto dubito possa salvarci dalla nostra stessa natura.

domenica 20 luglio 2014

Gne gne gne

Sto diventando ruvido. Mi rendo conto che mi capita sempre più spesso di innescare nelle persone una reazione di difesa. E siccome succede a persone anche molto diverse tra loro (e che non mi hanno mai dato, prima, l'impressione di essere iper-permalose) mi sa che la colpa è mia.

Note to self: addolcisciti, che non c'è nessuna gloria nel vincere il premio di "Asshole of the year".

E poi diciamoci la verità: se sei così intelligente come credi puoi anche indurre le persone a cambiare idea senza inzupparle nel tuo sarcasmo. Per due buone ragioni: la prima è che il sarcasmo non ha mai fatto cambiare idea a nessuno nella storia dell'umanità, poco ma sicuro. E la seconda è che a parti invertite uno che cerca di convertirti a colpi di sarcasmo lo manderesti a fanculo così veloce da fargli venire le meches.

Simple men can look at the mirror and smile. Assholes look  at the mirror and the mirror just smirks back.

La soluzione? mi devo ammorbidire.
Nel frattempo? devo imparare a chiedere scusa, anche se di mio non mi verrebbe. Si può essere convinti di avere ragione e chiedere scusa in ogni caso per il modo in cui la ragione la si difende. Non c'è nulla di male.

lunedì 30 giugno 2014

Parlez moi d'amour

Francese.

B1

AFFONDATO!

Onestamente, dopo averlo fatto, era di una facilità disarmante. Ma sapere che era l'ultimo gradino, sapere che non sapevo se lo sapevo (si lo so :D), e sapere che non sapevo come fare a saperlo meglio (si, lo ri-so :D) mi aveva indotto un'ansia mica da ridere.

Beh, adesso ci rido.

Sotto con l'elaborato finale. Peggio di quel che ho passato fin qua non può essere.

mercoledì 25 giugno 2014

Alessia!!!

E' nata la bimba di Luca e della Manu.

E' davvero bellissima.

mercoledì 11 giugno 2014

Felicità (astenersi perditempo e albani carrisi)

Ogni tanto anche una tartaruga come me può uscire un secondo dal suo guscio e dire senza ripensamenti, pensieri o altro... SONO FELICE.

Due dei migliori esseri umani che io abbia mai incontrato, e che per inciso sono pure sposati, avranno tra qualche mese un piccolo terzo essere umano, il quale deve aver pescato un bel biglietto della lotteria, perchè direi che in quanto a genitori se non ha fatto jackpot poco ci manca.

Essere genuinamente, completamente e disinteressatamente felice per qualcun altro ti fa sentire una persona un po' migliore.


...cosa di cui peraltro c'è gran bisogno a queste latitudini ^_^

mercoledì 7 maggio 2014

This is the end, my only friend. Or is it?

Oggi ho finito gli esami.

Dal 2 gennaio al 7 di maggio, quattro esami, lavorando nel frattempo e affrontando anche uno dei peggiori esaurimenti nervosi della mia vita.
Risultato? 20 - 30 - 30 - 30. Non male come stress-test.

...Dio quanto vorrei essere nella testa di mio padre. O forse no.

In ogni caso, vincitore del premio "miglior messaggio di congratulazioni" è oggi l'esimio dott. Roberto, che mi ha risposto con un "Scandaloso, il sistema universitario italiano fa cacare".

:D